Senza dimora, persi tra i binari


Pubblicato il 04.12.2006 in Eventi

Lasciano le loro famiglie per ragioni diverse, molto spesso a causa di malattie psichiatriche, o di gravi rotture affettive. Decidono di vivere per strada, cercando rifugio nelle stazioni ferroviarie, trascinando con se bagagli-guscio, come se fossero delle lumache che si trascinano dietro la casa. Ma la loro casa è la strada, il loro bagaglio, quasi sempre, è un ricettacolo di ricordi, la loro memoria è mobile e si materializza negli oggetti. Sono i cosiddetti senza fissa dimora, quelli che negli Usa vengono chiamati “hobo” e qui da noi “barboni”. Sono ormai tanti e tra loro ci sono ora anche molti immigrati che non sono riusciti a entrare negli ingranaggi frenetici della grande città straniera.

Proprio su di loro e in modo particolare sulle iniziative da attivare per occuparsi di loro e delle loro malattie e del disagio sociale che ne consegue è stato organizzato oggi a Roma, nella sala Pegaso del club Eurostar della stazione Termini, il primo seminario di formazione per gli operatori Onds, l’Osservatorio nazionale sul disagio e la solidarietà nelle stazioni italiane. Al seminario – a cui hanno partecipato decine di giovani operatori dell’Onds provenienti da tutte le città italiane – sono stati chiamati a parlare esperti di grande esperienza tra cui soprattutto psichiatri, visto che il tema del primo seminario di formazione era proprio quello relativo al disagio mentale dei senza fissa dimora. Le relazioni che si sono ascoltate hanno così spaziato in modo interdisciplinare su vari terreni: dalla psichiatria vera e propria, all’antropologia culturale, passando ovviamente per la sociologia. Ma chi sono questi “hobo”, questi re della strada (dal famoso romanzo il Re in incognito)?

 

Difficile tracciare un indentikit sociologico preciso. Gli studi e la raccolta di informazioni sui senza fissa dimora sono infatti ancora ai primi passi, anche se sono ormai molti anni che le associazioni del volontariato si occupano delle sorti degli esplulsi e quindi della emarginazione sociale più estrema. Dalle relazioni ascoltate oggi, in particolare da quella di questa mattina del dottor Sergio Lupoi, consigliere nazionale Sirp e direttore della struttura complessa Als Rm D – si è capito che è possibile ricostruire qualche frammento di verità. Più che un identikit vero e proprio possiamo avere dei tasselli di un puzzle e spunti sui comportamenti delle persone che finora hanno avuto a che fare in un modo o nell’altro con i centri di accoglienza e di attenzione delle stazioni. Si può anche dire che l’attività degli operatori dell’Osservatorio nazionale è molto complessa perché spesso (o meglio quasi sempre) ci sono anche problemi di relazione e perfino di sicurezza. Il dottor Lupoi ha tracciato anche un decalogo per la sicurezza degli stessi operatori, fatto soprattutto di consigli psicologici sul comportamento che più si addice nei casi di emergenza. Dall’esperienza degli psichiatri emergono comunque degli spunti più generali: il senza fissa dimora è quasi sempre una persona che ha scelto (o forse sarebbe meglio dire è stato obbligato a scegliere) di rompere i ponti con la famiglia e con tutto il contesto di vita. Sono persone che non vogliono parlare di sé e che spesso (quasi sempre) non vogliono neppure farsi aiutare. Sono persone che rifiutano anche qualsiasi contatto con le istituzioni che spesso individuano come il nemico. Sono – ha detto lo psichiatra Lupoi citando una frase di padre Remondini – degli “anoressici istituzionali”.

Utilizzando i risultati di uno studio condotto a Napoli nel 2002 su 159 senza fissa dimora e paragonando questi dati ad altri studi, il dottor Lupoi ha spiegato oggi che almeno il 30% dei senza fissa dimora soffre di patologie psichiatriche. Tra questi il 19% soffre di schizofrenia, mentre almeno la metà di quelli che soffrono di malattie mentali non vuole avere nulla a che fare con gli altri uomini, tantomeno con i medici. Gli operatori – è dunque uno dei paradossi – si trovano a fare quasi sempre il contrario di quello che il “barbone” desidera veramente.

Un’altra cosa importante che sembra si possa generalizzare dalle esperienze raccolte finora riguarda ancora la malattia mentale. Secondo gli studiosi il disturbo psichiatrico non è quasi mai la causa, ma caso mai è l’effetto della condizione di senza fissa dimora.

logo ONDS

Su questo tema, comunque, l’Osservatorio diretto da Alessandro Radicchi (che è anche il presidente della cooperativa sociale Europe Consulting) sta facendo dei passi in avanti molto importanti e gli interventi sono sempre più coordinati. Ci sono perfino dei primi contatti con realtà analoghe che si stanno realizzando a Parigi dove è nato un osservatorio simile a quello italiano. Si sta creando, come hanno spiegato oggi Giusi Gabriele, direttore generale Asl Roma D e Amedeo Piva, dirigente del settore politiche sociali delle Ferrovie dello Stato, una rete istituzionale di assistenza per la salute mentale dei senza fissa dimora. Una novità degli ultimi anni riguarda gli immigrati. Per intervenire sul disagio mentale dei senza fissa dimora stranieri non sono sufficienti gli strumenti tradizionali della medicina e della psichiatria. Per questo – è stato ribadito oggi al seminario di formazione – si sta sviluppando molto l’etnopsichiatria. Le difficoltà di intervento, in generale, sono però ancora molte, come ha voluto ribadire oggi il dottor Salvatore di Fede, medico psicoterapeuta di Psichiatria Democratica, che ha raccontato delle enormi difficoltà di una iniziativa a Napoli di coordinamento di tutta l’assistenza ai senza fissa dimora. Un progetto e una iniziativa , ha detto Salvatore di Fede, che le istituzioni ancora non hanno potuto (o voluto) recepire. (pan)

 

Redattore Sociale


Autore: redazione