Il giorno del Papa alla mensa dei poveri


Pubblicato il 04.01.2007 in Eventi

Gli hanno regalato la tessera della mensa, che non ha usato e verosimilmente non avrà mai occasione e bisogno di usare. Gli hanno riservato un’accoglienza calorosa, fatta di molta semplicità e di una visibile dignità. Lo hanno salutato, applaudito e ringraziato, per essersi “fatto vicino”, per aver dato prova di sincera attenzione, per aver voluto – di sua iniziativa – recarsi nel luogo dove ogni giorno quattrocento persone trovano un pasto caldo. E non solo quello. La visita di Benedetto XVI alla mensa sociale di Colle Oppio, la prima e più celebre struttura di accoglienza della Caritas diocesana di Roma, poche centinaia di metri dal Colosseo, si è sviluppata - ancor più che sulle parole – intorno ai gesti e ai doni: e se il papa è tornato in Vaticano carico di regali simbolici, nei magazzini della Caritas romana arrivano diecimila coperte e duemila giacconi. La materia prima per quanti lavorano a contatto con chi, a causa del freddo, può anche morire.

“L’uomo che soffre ci appartiene”, recita una targa posta sul portone della mensa: sono parole di papa Wojtyla, pronunciate in questo stesso luogo quindici anni fa e che da oggi – rese visibili sul muro - testimoniano l’intitolazione della mensa al pontefice polacco. Non più “Mensa di Colle Oppio” ma, d’ora in poi, “Mensa Giovanni Paolo II”. Papa Ratzinger viene qui per benedire il tutto, ma è il presente a parlare, molto più del passato. All’aperto, nel piazzale della struttura, ci sono persone di tutti i colori e di tutte le età: gli adolescenti del Centro Giovanile Monti – Esquilino, gli operatori delle varie strutture Caritas presenti nella capitale, i volontari che animano il servizio, e gli ospiti accolti nelle mense, nelle case famiglie, nei centri di accoglienza. Molti sono italiani, molti di più sono stranieri, soprattutto africani e asiatici; e sui terrazzi e i tetti circostanti spunta anche un gruppo di suore, impegnate tutto il tempo a sventolare fazzoletti bianchi all’indirizzo dell’uomo di bianco vestito.

Benedetto XVI sorride e saluta: avanza lentamente mentre - contenuti dalle transenne – tutti tendono la mano verso di lui. Le stringe tutte, a destra e a sinistra, in alto e in basso: ogni tanto si ferma a scambiare due parole con chi ha di fronte e quando ad una signora di mezza età casca in terra la custodia della macchina fotografica lui è il primo, insieme al direttore della Caritas, ad inchinarsi per raccoglierla. Gesti semplici, ma niente affatto scontati, che nei commenti successivi non passeranno inosservati.

“La mensa è un luogo di condivisione – dice nel suo saluto introduttivo mons. Guerino Di Tora, a capo della Caritas romana dal 1997 – un luogo dove la comunità cristiana incontra e si fa carico del prossimo più povero, lo accoglie e lo ascolta, e conosce dalle sue parole l’abbandono, il freddo, la fame, la droga, il carcere, le migrazioni, la perdita degli affetti, il passato da cui fuggire”. Sono questi i nomi moderni del “supplizio della croce”, è questa “l’umanità sofferente” che convive nel cuore di Roma con “il progresso tecnologico, lo sviluppo economico, il turismo, la cultura e i monumenti”. Contraddizioni evidenti anche in questa città, “storicamente accogliente ed ospitale”. A fargli eco è Roberto Festuccia, un ospite della mensa: “Da anni ho perso i miei genitori e sono rimasto solo”, dice al microfono mentre il papa lo ascolta. “Ho provato l’angoscia della solitudine e dell’indifferenza ma da quando frequento questo luogo ho scoperto una nuova famiglia, con tanti fratelli e sorelle con cui condividere gioie e dolori”.

L’atmosfera potrebbe sembrare edulcorata, ma le parole non lo sono. Tutt’altro. Ancora il direttore della Caritas: “Il mio pensiero in questa felice occasione è anche per coloro che non sono più fra noi: il cardinale Poletti, che fondò la Caritas, e don Luigi di Liegro, che ne fu primo direttore, ma va anche a tutti quegli ospiti che sono passati nelle mense e nei centri di accoglienza e che sono morti, stremati dalla sofferenza e dall’abbandono, sulle panchine dei parchi e negli atri delle stazioni. Tragiche esistenze che devono farci riflettere sulla capacità di accoglienza, sul saper essere prossimi a chi soffre, non donando soltanto ma condividendo”.

“In questa mensa” – dice poco dopo Benedetto XVI – “è possibile toccare con mano la presenza di Cristo nel fratello che ha fame e in colui che gli offre da mangiare: qui si può sperimentare che quando amiamo il prossimo conosciamo meglio Dio”. E se “Dio è amore”, il suo non è un “amore sentimentale, ma un amore che si è fatto dono totale, sino alla Croce”. L’accento è dunque non solo sulle necessità materiali (“Qui non si vuol dare soltanto da mangiare”) ma sul “servizio alla persona”, che “deve ispirarsi allo stile dell’amore cristiano secondo cui ‘il bene va fatto bene’”. Un servizio capace di far sentire “la profondità della gioia che da esso deriva”, gioia - chiosa papa Ratzinger - “certamente diversa da quella illusoria reclamizzata dalla pubblicità”.

Qualche volontario, silenziosamente, annuisce. Indosso hanno un grembiule con lo stemma Caritas sul dorso: uno simile lo regalano simbolicamente anche al papa, al quale vengono donati – oltre alla tessera numero uno della neonata “Mensa Giovanni Paolo II” - anche un album di disegni realizzati dai bambini della Casa di Cristian (che accoglie donne senza fissa dimora con i loro figli) e una coperta, simile alle tante che gli operatori distribuiscono ai bisognosi nelle stazioni e per le vie della città. Una ne prende e diecimila ne lascia, insieme a duemila giacconi e a quella che mons. Di Tora definisce “una offerta molto generosa”. Sorride il bilancio della Caritas e sorridono tutti i presenti, mentre il papa riprende la via del Vaticano augurando “buon pranzo e buona giornata”. Tutto ritorna alla normalità e, mentre il “carrozzone” dell’informazione abbandona il campo, spuntano fuori le tessere e i buoni mensa: oggi la distribuzione del pranzo inizia con mezz’ora di ritardo e chi arriva a cose fatte trova in dote una lunga fila all’ingresso. “Ah, è stato qui il papa? Non lo sapevo. Beh, mi fa piacere, lui mi è simpatico. Ma quanto tempo ci vuole per poter mangiare?”.

 

Redattore Sociale


Autore: Stefano Caredda