All'Hotel Roma stelle e cartoni


Pubblicato il 25.08.2005 in News Sociale

Clandestini e barboni abitano gli angoli invisibili della città. In affanno i centri di accoglienza

C’erano una volta i clochard. Persone che vivevano come randagi, persi, ai margini delle città. Una sorte che in fondo poteva capitare a tutti, un filo che si spezza, un trauma, una perdita nel momento sbagliato, un’ancora affettiva fissata male. Ora sono una minoranza, e quei pochi rimasti sono assistiti da un’amministratore sociale nominato da un giudice.
Sulla strada sono arrivati gli altri. E sono tanti, sempre di più: profughi, immigrati, sfrattati, poveri. La città di notte si popola di queste presenze. Alcuni dormono. Nel senso che non soffrono d’insonnia, vivono per strada ma senza stress. Sono abituati a essere ignorati e a ignorare a loro volta chi li sfiora. Non hanno incubi e a volte russano.
Altri non dormono. Nel senso che non dormono mai. Neanche quando li vedi stesi sui cartoni. Hanno gli occhi chiusi ma fanno finta. Si assopiscono solo quando fa giorno, quando nessuno può derubarli. Perché nessuno più dei poveri ha paura di diventare ancora più povero, di perdere quel poco che ha: i documenti, la tessera del dormitorio e della mensa, il braccialetto, la foto che hanno stretto sul cuore, quasi fosse un secondo cuore.
Sotto le stelle, senza un tetto, senza niente. Il loro numero è un mistero, può crescere o diminuire, come accade per le manifestazioni se i dati li danno i sindacati o la Questura. Secondo i vigili urbani che li hanno censiti, sui marciapiedi sono duemila. Secondo l’assessorato ai Servizi sociali circa 7000; secondo altri, e cioè le associazioni, religiosi o i volontari, almeno diecimila. Comunque tanti, troppi anche per chi è abituato a passare inosservato.
Raffaela Milano è l’ assessore alle Politiche sociali del Comune di Roma. Il sindaco Veltroni la scelse ormai quasi quattro anni perché viene dal mondo del volontariato. Conosce chi vive per strada. «L’impoverimento è generale, è un fenomeno che sta diventando preoccupante. Noi abbiamo fatto uno sforzo enorme per stare al passo con la realtà che cambia. In altre città hanno tolto anche le panchine per evitare che venissero utilizzate dai barboni. Noi puntiamo a garantire l’accoglienza per tutti e non ci fermiamo a questo: quando è possibile cerchiamo di recuperarli»
I nuovi barboni hanno preso il posto dei vecchi ma la loro condizione è vissuta come normalità. Dal 19 febbraio del 2002 la giunta ha deliberato l’istituzione di una via, via Modesto Valente, come indirizzo anagrafico convenzionale. Non solo cenci, tetrapak a portata di mano, piedi infagottati. Un tempo a Roma, come in altre capitali europee, i clochard provarono a sfruttare la vena poetica e romantica che è in ognuno di loro vendendo un giornale “Terre di mezzo”. Una nobile iniziativa, anche se, con i tempi che corrono, “veicolare il prodotto”, come direbbe qualcuno, non è stato facile.
L’Hotel-Roma in questi giorni è tutto esaurito. I portoni “storici”sono occupati. E anche i ponti, i viadotti, i “buchi” dove entra appena il giaciglio vengono subito presi di mira. Lo scorso anno le chiamate alla Sala operativa sociale sono aumentate del 30%. Il 67% degli interventi ha riguardato la popolazione adulta e solo il 15,97% gli anziani. Sono aumentati i centri di accoglienza e anche i posti nei dormitori. La welfare community di Veltroni gira al massimo ma non ce la fa a stare al passo con i nuovi arrivi. Durante il week end di Ferragosto, nei giorni in cui i telefoni della città squillavano a vuoto pressoché ovunque, alla Sala operativa sono arrivate ben 114 richieste di aiuto.
Sbarcano dall’Africa o vengono sui pullman dall’Est. Alì è marocchino, ha 32 anni e vive sotto il viadotto dell’Appia Antica. Un anno di vita per strada ne vale 5 normali. Ma lui si è tenuto in forma. La mattina fa le flessioni e i turisti che passano a bordo dell’Archeotram scattano foto. «Da due anni e mezzo vivo qui. Nessuno mi ha dato un lavoro ma non mi arrendo, non torno indietro».
Roberto è furioso, forse anche sbronzo. Dorme sul Lungotevere, sotto un porticato, proprio davanti all’assessorato alla Casa. Per anni intere generazioni di romani e burini hanno dormito qui, quasi che alimentando sensi di colpa servisse scalare la classifica degli alloggi popolari. «Se ci mandano via anche da qui dove andiamo? - si dispera Roberto - io faccio il manovale ma se lavoro un giorno a settimana è già troppo».
Dal 19 agosto un lato di Piazza di Porta Maggiore ha assunto l’aspetto di una tendopoli. Quindici famiglie, in gran parte etiopiche ed eritree, che erano state sgomberate hanno piantato i picchetti e dormono sul marciapiede. Sono profughi che non hanno trovato di meglio e non hanno accettato la sistemazione provvisoria che il Comune gli ha offerto. L’autista del Tram 19 per passare deve chiedere ai giovani che sostano sui binari di spostare un passeggino cosa che loro gentilmente fanno. Un cartello incollato ad un frigorifero rotto contiene un appello al sindaco Veltroni, con un accenno alla vocazione africana del sindaco.
Chiaramente c’è l’eccezione: a Piazza Trilussa, proprio di fronte alla statua di Giocchino Belli, siè istallata una piccola comunità di punk-bestia. Cani beati che fanno i bagni nelle fontane, padroni che sbevazzano trasformando i marciapiedi in un tappeto di cocci di vetro. E sulla scalinata di San Gregorio, Antonio, 55 anni, palermitano, è più simile al vecchio identikit del barbone. Ha cinque figli. È finito all’Ucciardone ma solo per piccoli reati. Sarebbe ancora in grado fare l’aiuto-cuoco «ma i ristoranti preferiscono gli africani». Con la famiglia ha rotto e vive dormendo in cima al Celio grazie ai viveri che le Suore della carità, quelle di Madre Teresa di Calcutta, gli passano. Una minestra e un pezzo di pane. Il magazzino è sempre pieno di vestiti ma più di una volta i nomadi sono venuti a rubarli scalando la cancellata di protezione. Il dormitorio è pieno, non c’è più posto, con la brutta stagione che si avvicina non c’è da stare allegri. E la periferia? I nuovi poveri abitano anche lì. C’è chi dice di averli visti anche sul grande raccordo anulare, nelle cunette che corrono lungo le corsie d’emergenza. Come auto in panne in attesa di un carroattrezzi.

Il Messaggero


Autore: Claudio Marinicola