A cinque anni dalla sua emanazione, la legge 328 non è ancora andata oltre gli intenti


Pubblicato il 27.09.2005 in News Sociale

I limiti economici e culturali della 328: se ne è discusso in un convegno a Roma promosso da Cgil, Cisl e Uil. Nisi (Uil): ''Il governo ha gradualmente boicottato la legge depauperando il Fondo nazionale''.

Il disinteresse del governo, con il graduale svuotamento del Fondo sociale nazionale, e le difficoltà incontrate dagli enti locali nell’attuazione del sistema integrato sociale, sono i veri punti nodali dell’attuale insuccesso delle politiche di sussidiarietà. Un primo bilancio è stato tracciato dalle tre confederazioni sindacali  nel convegno “Legge 328/2000: Una sfida ancora aperta”, tenutosi oggi a Roma.  “A livello nazionale - spiega Nirvana Nisi, segretaria di Uil nazionale – il governo ha gradualmente boicottato la legge depauperando il Fondo che per il 2005 ha visto persino dimezzato il suo importo. Dai quasi due miliardi stanziati del 2004 ai quasi 1,3 miliardi del 2005”. Una politica che ha danneggiato direttamente gli enti locali nella definizione e progettazione degli interventi.

“Le regioni si sono trovate a gestire un Fondo dimezzato – spiega il presidente della regione Emilia Romagna, Vasco Errani – e hanno dovuto aprire le casse per sostenere quasi per intero i servizi. Questo ha comportato un livellamento qualitativo delle prestazioni e in alcuni casi dei veri e propri tagli ai servizi per mancanza di budget. E il ministro del Welfare continua a fare belle dichiarazioni di intenti. Per adesso sono solo parole”. Il problema va oltre l’aspetto meramente economico e  tocca gli aspetti culturali dell’intervento. “Finora la politica sociale è stata pensata solo nell’aspetto monetario, - dice Emanuele Ranci Ortigosa, presidente Irs – In un’ottica della promozione di una politica unilaterale e centralistica, ancora legata ad una visione assistenziale degli interventri sociali, pensati nella sola erogazione monetaria senza una progettazione seria e partecipata. Ragionando solo sul tamponamento di una condizione di bisogno e non sulla promozione di un’uscita. Strategia di uscita che può essere affrontata solo lavorando sul territorio con gli stessi destinatari dell’intervento”. Attività che per adesso ha visto la difficoltà anche degli enti locali che “nonostante l’entusiastica accettazione della legge, hanno avuto problemi di applicazione – spiega la Nisi – e questo proprio per un deficit di partecipazione e di coinvolgimento di tutte le parti, compresi i destinatari.

“La condivisione di responsabilità ha avuto poca applicazione – aggiunge – perché sono state poco considerate la concertazione e il lavoro di rete. Inoltre i Piani di Zona hanno spesso mancato l’obiettivo, limitandosi a descrivere l’offerta esistente sommando i servizi erogati dai singoli comuni. Senza ragionare su una vera programmazione e progettazione partecipata. Invece dovrebbero essere il luogo di incontro tra le istituzioni, ma per far ciò gli enti locali devono avere strumenti chiari che per adesso mancano”. Così “la mentalità che viene trasmessa dal governo  - spiega la segretaria Cgil della Lombardi, Susanna Camusso - è che tutto è demandato alle famiglie che, attraverso gli assegni donati dallo stato, devono liberamente andare a scegliere il servizio preferito. Guardando esclusivamente al mercato. Ma la libertà del cittadino non è data dalla monetizzazione del servizio, bensì dal suo coinvolgimento in un sistema partecipato in cui può organizzare egli stesso l’intervento”. 


Autore: Luca Zanfei
Fonte: Redattore Sociale