Vivere da madre in comunità terapeutica: modelli e buone prassi a confronto


Pubblicato il 30.05.2006 in Progetti

Genitorialità e tossicodipendenze al centro del convegno finale del progetto Cnca "Maternità in-dipendente" - tenutosi a Roma questa mattina - per la promozione di modelli e buone prassi di intervento su donne tossicodipendenti con figli.

La cultura sul trattamento delle dipendenze sta cambiando - dichiara Maurizio Coletti (presidente Itaca Italia ) - e gli interventi residenziali si trovano al bivio tra "comunità modificate", ovvero metodi di trattamento miranti al recupero totale dell´utente, e comunità on demand, ovvero momento di un trattamento integrato e flessibile e con obiettivi limitati. Ma a cambiare è soprattutto l´utenza. Lo sostiene Leopoldo Grosso (psicoterapeuta, vicepresidente Gruppo Abele) secondo cui: "se una volta la comunità selezionava le persone più strutturate e determinate, oggi al contrario riceve i casi più gravi". A sostegno di questa tesi una recente ricerca commissionata dalla Regione Veneto che mostra come a fronte del 20% di pazienti con disagio psichiatrico tra gli utenti dei Sert in trattamento ambulatoriale e farmacologico, ben il 50% dei tossicodipendenti in carcere o in comunità ha gli stessi problemi. La stessa situazione grava sulle donne accolte nelle strutture di recupero, per le quali Grosso domanda un´attenzione diversa: "Oggi alle mamme si chiede troppo: si pretende che siano madri 24 ore su 24 dimenticando la necessità di elaborare la propria affettività e femminilità in quanto donne". Insomma il rischio di ricadute è sempre alto nonostante la durata della tenuta dei percorsi in comunità, che però – continua Grosso – non devono ingannare, visto che la posta in gioco è tanto alta.

Perdere il bambino in casi come questi non è difficile e nella triangolazione Comunità, Sert e Tribunale dei Minori, accade sovente che ciascuno privilegi uno solo dei due attori: o il bambino (il Tribunale) o la mamma (il Sert). In questa dinamica la comunità deve sapersi proporre come luogo di "sintesi" di entrambe le esigenze, secondo Riccardo De Facci – responsabile area dipendenze del Cnca. Ma al tavolo delle decisioni il peso della comunità è di gran lunga inferiore a quello del Tribunale. È già successo che delle donne siano state separate dai figli a causa del reiterato uso di droghe leggere o pesanti a distanza di mesi dall´inizio del percorso di recupero, senza che i risultati effettivi di quel percorso potessero influire sul decreto del giudice. E il timore di una separazione dai figli si estrapola nei dati. A Roma ad esempio solo 500 delle 12.000 donne tossicodipendenti in carico ai servizi dichiarano di essere madri, un dato troppo basso secondo il direttore dell´Agenzia comunale per le tossicodipendenze Guglielmo Masci – dietro cui si nasconde la paura dello smembramento della famiglia.  Ma affinché la comunità per mamme e bambini possa dialogare alla pari con il Tribunale e i servizi – secondo la coordinatrice del progetto Maternità In-dipendente, Pina De Angelis – "vanno individuati strumenti diagnostici condivisi dalla rete dei servizi per misurare e quindi valutare le capacità genitoriale di queste mamme, ovvero se sono in grado di gestire il figlio".


Autore: Gabriele Del Grande
Fonte: Redattore Sociale