Poveri estremi: un'analisi sui dati dell'ONDS


Pubblicato il 23.12.2015 in Rete Onds

 

Le analisi presentate in questo contributo di Eleonora Romano sono frutto di una ricerca più ampia condotta dall’ONDS e basata sui dati ricavati da ANThology, una piattaforma informatica per la raccolta dati messa a disposizione dalla cooperativa sociale Europe Consulting Onlus


Abstract

I poveri estremi appaiono ai margini non solo della società ma anche delle statistiche. Le tradizionali indagini sulla povertà e la disuguaglianza, infatti, escludono sistematicamente gli homeless. Lo scopo di questa analisi è di contribuire allo studio della povertà estrema in Italia utilizzando un dataset originale relativo agli utenti che nel corso del 2014 si sono rivolti a tre centri di orientamento sociale (Help Center) dell’Osservatorio Nazionale sul Disagio e la Solidarietà nelle Stazioni Italiane (ONDS). In primo luogo, i risultati suggeriscono che gli utenti più anziani sono più propensi a richiedere accoglienza rispetto ai giovani, presumibilmente per le maggiori difficoltà a trovare una sistemazione al di fuori del circuito degli Help Center. Al contrario, i giovani risultano più attivi nella ricerca di un’occupazione. In secondo luogo, l’esperienza di una separazione familiare sembra associarsi con una maggiore probabilità di avanzare qualunque tipo di richiesta. Da ultimo, i risultati appaiono in linea con l’approccio housing first: la priorità di chi versa in una condizione di disagio abitativo è soddisfare bisogni primari piuttosto che trovare un’occupazione.

 

Introduzione

Nell’ambito degli studi sulla povertà e sulla disuguaglianza il fenomeno della povertà estrema – definita dal Comitato dei diritti economici, sociali e culturali delle Nazioni Unite come “combinazione di penuria di entrate, sviluppo umano insufficiente ed esclusione sociale” – ha ricevuto finora una scarsa attenzione. Ad esempio, le stime sul numero dei poveri assoluti che l’Istat diffonde ogni anno sono incomplete perché non comprendono “i più poveri tra i poveri”, quelli che potremmo chiamare poveri “estremi”. Più precisamente, esse non tengono conto degli homeless. Le statistiche dell’Istat sulla povertà assoluta, ricavate dall’indagine sulle spese delle famiglie, si riferiscono ad una soglia di povertà basata sulla valutazione monetaria di un paniere di beni e servizi (di natura alimentare, abitativa e residuale) considerati essenziali affinché un individuo possa ritenersi al riparo da gravi forme di esclusione sociale. Il problema sorge perché la base di campionamento è data dalle abitazioni e, dunque, gli homeless sono sistematicamente esclusi. 

La difficoltà nel raccogliere dati censuari o campionari in misura sufficiente su una popolazione che è fortemente mobile (hard to reach population) è la causa principale della scarsa attenzione della letteratura economica per il tema. Peraltro, come fanno notare Boeri, Braga e Corno (Boeri et al., 2009), a questa penuria di dati si aggiunge la difficoltà ad inquadrare la povertà estrema nel framework delle teorie economiche tradizionali, le quali, fondandosi su ipotesi comportamentali regolate da rigidi postulati di razionalità, difficilmente riescono a rappresentare il pattern di comportamento (o molto spesso l’assenza di regolarità nei comportamenti) degli homeless.

Per quanto riguarda la raccolta dati sugli homeless, le prime metodologie di rilevazione sono state sviluppate negli Stati Uniti negli anni ‘80. La più diffusa è quella basata sul cosiddetto S-Night approach (Street and Shelter Night), che consiste nel conteggio simultaneo degli homeless nell’arco di poche ore (una notte o un giorno) su un dato territorio urbano. Le rilevazioni di questo tipo, diventate ormai una prassi corrente negli Stati Uniti, vengono condotte con cadenza annuale o più volte nell’anno, in genere nei mesi invernali, durante i quali è più facile rintracciare gli homeless per via della loro maggiore propensione a rivolgersi ai centri di accoglienza. Da un lato, l’approccio S-Night è assimilabile ad un censimento della popolazione degli homeless e ha il vantaggio di evitare l’identificazione di una popolazione di base da cui estrarre un campione. D’altra parte, esso rischia di sottostimare la popolazione di riferimento e implica un alto dispendio di risorse umane e monetarie nonché una lunga preparazione. Un’altra metodologia è quella degli analoghi one-week (o multi-week) counts, che stimano la popolazione degli homeless attraverso il conteggio delle persone che utilizzano le strutture di accoglienza diurna e notturna nell’arco di una settimana. In questo caso, la possibilità di conteggiare anche individui che non sono senza dimora (ma che comunque potrebbero avere problemi di esclusione sociale) o di conteggiare più volte lo stesso individuo che usufruisce dello stesso servizio non può essere esclusa, poiché spesso la rilevazione non viene fatta ad personam ma si limita a conteggiare il numero totale di utenti dei centri di accoglienza. Diversamente dagli Stati Uniti, in Europa queste metodologie sono state applicate in modo non sistematico.

Per quanto riguarda l’Italia, il primo tentativo di quantificare la popolazione degli homeless è avvenuto ad opera della Commissione d’Indagine sull’Esclusione Sociale (Dipartimento per gli Affari Sociali e Presidenza del Consiglio) e della Fondazione Zancan di Padova e risale al 2000. Nel 2004 è stata poi condotta una seconda indagine nella sola Regione Veneto, cui sono seguite le indagini condotte nelle città di Milano (2008 e 2013), Torino (2010) e Roma (2014). 

La prima ricerca che ha portato alla stima ufficiale del numero di homeless a livello nazionale è stata condotta dall’Istat nel 2011 (Istat, 2011) grazie ad una convenzione con il Ministero del Lavoro e Politiche Sociali, con la fio.PSD (Federazione italiana degli organismi per le persone senza dimora) e con la Caritas Italiana. A tale scopo l’Istat ha costruito una mappa delle strutture collocate nei 158 maggiori comuni italiani che fornivano servizi di mensa e accoglienza notturna, presso le quali è stato possibile intercettare le persone senza dimora. Con riferimento a tali strutture e utilizzando la tecnica del campionamento indiretto, l’Istat ha stimato il numero di homeless in Italia, fornendo anche dettagli su alcune loro caratteristiche. Facendo uso della stessa metodologia, nel 2014 l’Istat ha condotto una seconda indagine nazionale sulle persone senza dimora (Istat, 2015). (...)

Le indagini sui senza dimora condotte dall’Istat nel 2011 e nel 2014 costituiscono solo l’avvio di un monitoraggio a livello nazionale del fenomeno della povertà estrema. Tuttavia, coloro che in ambiti istituzionali e delle organizzazioni di terzo settore forniscono servizi di assistenza e orientamento sociale sono “testimoni privilegiati”, che possono contribuire in modo sostanziale a raccogliere dati sulla povertà estrema. Una promettente iniziativa in questa direzione proviene dalla cooperativa sociale Europe Consulting Onlus, che da alcuni anni ha messo a disposizione di diverse strutture ed istituzioni pubbliche la piattaforma informatica ANThology, con lo scopo di raccogliere, condividere e diffondere dati sulle attività da esse svolte a favore delle persone in condizioni di disagio o a rischio di esclusione sociale, oltre che sui beneficiari di tali attività. Ad esempio, la piattaforma ANThology è utilizzata dall’Osservatorio Nazionale sul Disagio e la Solidarietà nelle Stazioni Italiane (ONDS) – nato dalla collaborazione tra Ferrovie dello Stato Italiane (FS), Anci e Europe Consulting Onlus – per raccogliere dati relativi a coloro che si rivolgono ai centri di orientamento sociale (Help Center) presenti nelle stazioni italiane per iniziativa di FS. 

Lo scopo del presente studio è quello di fornire un contributo originale all’analisi della povertà estrema in Italia facendo uso dei dati raccolti dall’ONDS. Il primo obiettivo è studiare la relazione tra le caratteristiche individuali degli utenti che si rivolgono agli Help Center (HC) di stazione e il numero di accessi spontanei da essi effettuati. Il secondo obiettivo è stabilire in che modo la probabilità con cui gli utenti degli Help Center effettuano diverse tipologie di richiesta sia legata alle loro caratteristiche individuali. 

Il contributo si compone di altre quattro sezioni. La seconda sezione fornisce una breve descrizione del sistema degli Help Center ONDS e alcune riflessioni in relazione al più ampio contesto del terzo settore italiano. La terza sezione contiene la presentazione del dataset utilizzato, la strategia empirica e i risultati dell’analisi descrittiva. La quarta sezione presenta i risultati delle analisi di regressione relative agli accessi effettuati dagli utenti e alle probabilità con cui essi effettuano le diverse tipologie di richiesta. La sezione conclusiva offre una breve sintesi e discussione dei risultati principali.

 

Leggi le altre sezioni del contributo di Eleonora Romano: